La nota azienda italiana Ferrero Trading Lux S.A. per soddisfare una richiesta sempre crescente di nocciole, materia prima essenziale nella realizzazione dei suoi prodotti , insieme a ISMEA (Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare), ha stipulato un accordo con le regioni Basilicata, Lazio, Toscana e Piemonte [1] per aumentare gli ettari a coltivazione corilicola, ed esse hanno inserito nei loro piani di sviluppo rurale 2014-2020 finanziamenti appositi per sostenere e incentivare il comparto[2]. Il Lazio, regione con la più alta produzione di nocciole a livello nazionale pari al 35% e al 5% del totale mondiale, ha concentrato lo sviluppo corilicolo prevalentemente nella Tuscia, zona del viterbese, dove la coltivazione di nocciole si espande per circa 25.000 ettari[3]. Con l’accordo tra la multinazionale italiana e la regione si intende ampliare questa estesa monocoltura di altri 10.000 ettari. La notizia nel 2015 è accolta fin da subito, dalle aziende agricole biologiche locali, con preoccupazione sia per quanto riguarda la qualità delle nocciole prodotte sia per l’utilizzo massiccio di fitofarmaci che le monocolture richiedono e le probabili ricadute che l’utilizzo degli stessi avranno sulla biodiversità del luogo. A supporto dei contadini sono intervenuti l’Ordine dei Geologi del Lazio e il Biodistretto della Via Amerina, primo bio-distretto Italiano di 13 comuni riconosciuto da una Legge Regionale, ovvero una rete di comuni che si coordinano per promuovere e tutelare il biologico [4]. Il Biodistretto ha iniziato la sua attività a partire dal 2011 e tramite una serie di incontri con cittadinanza, aziende locali e amministrazioni comunali sono stati delineati gli obiettivi dell’ente: grazie al coinvolgimento di esperti dell’Università della Tuscia, di rappresentanti dell’AIAB (Associazione Italiana di Agricoltura Biologica) e a tecnici e produttori biologici vengono proposti workshop di settore e incontri pubblici di livello per formare aziende e semplici cittadini interessati alle tematiche trattate. Nel corso degli anni ha più volte posto l’attenzione a più livelli sulle possibili conseguenze che continuare a incentivare la monocoltura nel viterbese potrebbe avere: Dal punto di vista economico la concentrazione nelle mani di una sola industria dolciaria sui noccioleti potrebbe condurre a una colonizzazione del settore che fisserebbe o abbasserebbe il prezzo del prodotto a proprio vantaggio, mettendo a repentaglio i profitti dei lavoratori; Sotto il profilo sanitario è stata evidenziata la possibile connessione tra l’utilizzo massiccio di fitofarmaci e l’insorgere di malattie tumorali o altri disturbi minori, come testimoniato in un recente studio dei medici per l’ambiente Isde [5]ciò comporterebbe un rischio per i cittadini, infatti solo una minima parte dei pesticidi irrorati raggiunge il bersaglio e il restante si disperde al di là delle aree agricole, sempre più spesso vicine ad abitazioni, scuole e orti privati. Molto spesso i residenti hanno manifestato sintomi come lacrimazione, difficoltà respiratorie e bruciori a occhi e gola. La situazione potrebbe essere ancor più grave per gli agricoltori che lavorando quotidianamente nelle piantagioni sono i soggetti più esposti ai pesticidi da loro stessi utilizzati [6] Altro punto focale ha riguardato in maniera specifica il Lago di Vico, divenuto una Riserva Naturale tramite la legge regionale n. 47/1982 [7] e la l.r. n. 24/2008 [8] con l’obiettivo di preservare l’equilibrio biologico del lago, monitorare e garantire la potabilità delle acque con il fine di tutelare il diritto alla salute. Se le normative vigenti forniscono garanzie da una parte, dall’altra si è osservato come a partire dal 2010 è persistito e aumentato il processo di eutrofizzazione (ovvero l’eccessivo accrescimento di organismi vegetali che causano il degrado dell’ambiente divenuto asfittico), la netta riduzione della qualità delle acque del lago di Vico e il possibile e connesso rischio sanitario per le popolazioni dei comuni di Caprarola e Ronciglione che da questo lago captano la maggior parte delle acque erogate a uso umano[9]. Il Lago è riconosciuto inoltre come SIC (Sito di Interesse Comunitario) e ZPS (Zona di protezione speciale) oggetto di studi e ricerche da parte di Enti e Università come l’Istituto Superiore di Sanità, il Consiglio Nazionale delle Ricerche – CNR, l’Università della Tuscia, l’Università di Roma La Sapienza e l’Università degli Studi Roma Tre [10] che hanno confermato l’elevato grado di inquinamento del lago. Le principali problematiche sollevate dagli studi sopracitati sono state: la riduzione della quantità di ossigeno l’aumento della presenza di clorofilla l’aumento della biomassa algare, comunemente definita Alga Rossa l’elevato valore di arsenico (secondo il parametro previsto dal d. lgs. 31/2001)[11]. Le possibili cause di questi risultati sono stati identificati nell’uso ultradecennale di pesticidi nelle aree coltivate a noccioleti; la possibile permanenza di scarichi fognari abusivi o non a norma sulle sponde del lago; le possibili attività illecite interne o in prossimità della riserva naturale. I comuni maggiormente a rischio sono quelli di Caprarola [12] e Ronciglione che hanno dovuto emettere un’ordinanza di non potabilità delle acque. Ad oggi l’ordinanza è sospesa per il solo comune di Ronciglione[13]. Sull’impiego del glifosato è importante sottolineare che i tredici comuni del Bio-distretto si stanno muovendo affinché il pesticida non venga più utilizzato dagli agricoltori. Un esempio è il Comune di Corchiano che attraverso l’emissione di un’ordinanza ha vietato in modo assoluto l’utilizzo della sostanza[14]. (See less) |